Alice&Diego from Alberto Romanotto on Vimeo. Grazie al mitico Albo from Precotto!
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QUI FINISCE/COMINCIA L’AVVENTURA…
Non ci siamo fatti sentire per un po': neanche il tempo di rimettere piede sul suolo italico, e siamo stati immediatamente fagocitati dalla routine quotidiana e lavorativa.
Però una cosa vogliamo dirvela ancora una volta, e cioè: GRAZIE.
Per averci regalato il viaggio più bello di sempre. Per averci inondato di un affetto che ci ha sovrastato, e commosso. Per averci sopportato prima, dopo e durante. Perché già in questi giorni ci state aiutando a ricostruire lo splendido giorno del nostro matrimonio che – complici l’emozione, l’agitazione, la frenesia e l’adrenalina – nei nostri ricordi è tuttora un po’ sfocato.
Mentre riordiniamo i ricordi di viaggio e del matrimonio – ci vorrà un po’ di tempo – vi chiediamo se avete foto, racconti, aneddoti del grande giorno di mandarceli via email (o wetransfer) al solito alicediego2014@gmail.com. Vogliamo ringraziarvi tutti, uno per uno, e con un po’ di pazienza ce la faremo.
Intanto, compiamo un mese da marito&moglie. E, come dicevamo: questo non è che l’inizio.
TRA IL BLUES E IL ROCK’N’ROLL
L’avventura volge al termine e intanto abbiamo risalito gli States fino alla città del vento, quella che i fratelli Blues cantavano come “Sweet home, Chicago”.
Per arrivarci abbiamo attraversato le profondità contraddittorie del delta del Mississippi: a Indianola abbiamo visitato il bellissimo museo del grande B.B. King, a Clarksdale abbiamo dormito nel posto più figo di sempre (le capanne ristrutturate dello Shack Up Inn), a Memphis abbiamo dato prima un occhio alla kitschissima casa di Elvis e poi al Lorraine Motel, dove venne ucciso Martin Luther King, che oggi è un ricchissimo museo interattivo sulla storia delle lotte per i diritti civili.
A Chicago cerchiamo di riprendere un po’ le forze, ma ormai non c’è niente da fare, abbiamo il blues: quello che ci coglie sempre alla fine dell’estate, di un viaggio, di un’avventura.
LAGGIÙ NEL BAYOU
Scollinando nell’ultima settimana di viaggio, abbiamo salutato New Orleans con il cuore già gonfio di malinconia. Per tirarci su, siamo andati a caccia di alligatori (leggi: “ci siamo avventurati timorosi, sperando di non vederne neanche l’ombra”) nelle swamp, gli acquitrini paludosi del golfo della Louisiana. Una vegetazione mai vista, una giungla rigogliosa e allo stesso tempo stagnante, accompagnata da un coro insostenibile d’insetti e da versi d’animali misteriosi: non viene difficile immaginare spettri e zombie tra i rami cascanti, e neppure ammirare i pirati per il coraggio di vagabondare da queste parti!
Risalendo verso nord, costeggiando il Mississippi (che è davvero gigantesco come dicono), abbiamo visitato la piantagione di Oak Alley, vista in moltissimi film (tipo in Intervista col vampiro, era la magione di Louis cui poi viene dato fuoco) e perfettamente aderente all’immaginario dei latifondisti del sud che ci ha tramandato Via col vento.
Una sciura in abiti pseudo-ottocenteschi e con un accento del sud strascicatissimo ci ha fatto fare il giro della casa, che si è rivelata molto più piccola di quel che appare. A dare i brividi sono però le abitazioni degli schiavi ricostruite accuratamente sul retro della villa: quando la tizia raccontava addolorata della devastazione subita dalla casa durante la guerra di secessione, non siamo riusciti a empatizzare un granché.
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THE BIG EASY
Non è facile descrivere New Orleans: come New York, è uno di quei posti di cui ci sembra di conoscere già tutto, eppure, una volta qui, ci accendiamo di meraviglia a ogni angolo. Ogni portico in legno, ogni balcone fiorito, ogni scorcio traboccante di verde ci sembra un frammento magico; la luce densa e calda di luglio pare fondersi con le onnipresenti note di jazz. C’è musica dappertutto, a New Orleans: tutti suonano, e chi non suona balla. Ecco, il punto è questo: “the Big Easy” è uno di quei posti in cui basta mettere piede una volta per ammalarsi per sempre di nostalgia.
P.s.: per inciso, non avremmo potuto passare un 4 luglio migliore, nonostante per sette ore l’abbiamo trascorso in macchina. Abbiamo letto a voce alta tutto Il buio oltre la siepe (attraversando l’Alabama in cui è ambientato), omaggiando quel grande eroe americano che è Atticus Finch. Poi siamo approdati in una New Orleans festosa e per finire abbiamo guardato i fuochi d’artificio dalla riva del Mississippi. Happy birthday, USA!
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TARA! EHM, ATLANTA!
Atlanta é gigantesca e un gran casino. Almeno è questa l’impressione che lascia in sola mezza giornata d’esplorazione. Alla casa di Margaret Mitchell c’è una piccola mostra sulla prima di Via col vento (30.000 persone accorse in città per vedere Vivian Leigh, Clarke Gable e Olivia de Havilland). Fuori dal centro città (che poi sono due, downtown e midtown) c’è un quartiere dedicato a Martin Luther King: non solo la sua casa natale e la sua tomba, ma anche la vecchia chiesa, un’intera strada, un centro per la non violenza, un parco.
Concludiamo in un ristorante che si chiama “il portico di zia Pittypat” e che è pieno di memorabilia di Via col vento. E via, che domani è un altro giorno!
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HIGH COUNTRY
Ed ecco l’apice di questa luna di miele: l’incontro, tanto atteso e agognato, tra Diego e un orso. In realtà si tratta di un’orsa di nome Dakota, e non l’abbiamo incontrata per caso: nel bel parco della Grandfather Mountain, in North Carolina, c’è una specie di zoo che tiene alcuni animali locali in semicattività nel loro habitat naturale (oltre agli orsi, anche due aquile, qualche lontra, un paio di puma e un po’ di cervi). Per la gioia dei bambini, e nostra, ché siamo un po’ dei bimbi anche noi.
In questi giorni, tra la Virginia e il North Carolina, abbiamo visitato altri bellissimi parchi naturali: il Natural Bridge ha un ponte di roccia alto oltre 60 metri, la Grandfather Mountain (che vanta pure la strada più usata per spot di macchine) un ponte sospeso a un miglio d’altezza che ondeggia un po’ mentre ci cammini. Dopo la Skyline Drive, abbiamo guidato per la Blue Ridge Parkway e visitato dei piccoli paesini all’apparenza ibernati nel tempo: Lexington, Boone e soprattutto la bellissima Asheville, cui manca solo il bar di Luke per essere identica a Stars Hollow di Una mamma per amica!
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OH, SHENANDOAH!
Pare che voglia dire “figlia delle stelle”. Quello che noi sappiamo di sicuro è che la sera si riempie di lucciole: una mini passeggiatina al tramonto, nei dintorni del lodge (che sembra quello di Dirty Dancing) ci ha rivelato una foresta incantata con cerbiatti che brucano a un passo da te e le luci della valle a confondersi con le stelle e, appunto, le lucciole.
La Skyline Drive è davvero la strada panoramica più incredibile che ci sia capitato di percorrere: 106 miglia di foreste fittissime e improvvise aperture su paesaggi meravigliosi. Abbiamo fatto una bella passeggiata nel bosco lungo un torrente e fino alle cascate. Speravamo di incontrare un orso (cosa che qui capita abbastanza spesso), ma, con grande delusione di Diego, non ne abbiamo visti.
Terminata la traversata del parco di Shenandoah abbiamo fatto una capatina a Staunton, paesino della Virginia con il centro storico super conservato (e incredibilmente neanche una bandiera della confederazione!). L’impressione di passeggiare per il set di un film non ci abbandona mai!
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WASHINGTON
Dopo New York, la capitale degli States sembra una città molto più ampia, ariosa e tranquilla. Forse perché ci stiamo di sabato e domenica, quando gli uffici sono chiusi, c’è un’atmosfera rilassata e un po’ sonnacchiosa. L’America si autocelebra con una spianata di monumenti, ma in un certo senso è più sobria di quel che ti aspetti: la Casa Bianca non è così imponente, e pure Abraham Lincoln, in fondo, te lo sei sempre immaginato alto.
Siccome siamo dei tenerelli, ci commuove un po’ che per autocelebrarsi gli States omaggino pure il sapere e la conoscenza: la Library of Congress è, quella sì, imponente, e i due musei che abbiamo visitato – l’Air and Space e il Natural History – sono la gioia di ogni bimbo curioso (tipo noi).
Sgraniamo gli occhi di meraviglia davanti all’Apollo 11, alle tute degli astronauti, alla ricostruzione dell’allunaggio, alla roccia di luna da accarezzare, al Voyager e a mille altre cose gentilmente offerte dalla NASA. Al museo di storia naturale ci sono solo le ossa di un triceratopo (l’esposizione dei fossili di dinosauro è chiusa fino al 2019!), ma è divertentissimo passeggiare tra gli animali e i bimbi in visibilio.
Ci siamo pure commossi, con lacrime vere, al Martin Luther King Jr. Memorial, l’unico monumento nel Mall di Washington che non sia dedicato a un presidente: la semplicità delle parole è disarmante e potente, sembrerà banale ma noi ci crediamo davvero.
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BYE BYE, NEW YORK (for now)
E dunque è già terminata la prima tappa del nostro viaggio: in questo momento siamo su un mitico autobus greyhound in direzione Washington D.C.!
All’unanimità (due su due) abbiamo decretato New York “città più bella del mondo”. Non ci era mai capitato di sentirci esattamente al centro di tutto: c’è un gran casino (bello), l’aria frizzante, musica ovunque, colori più vividi e la sensazione di una nuova sorpresa dietro ogni angolo.
La gentilezza dei newyorchesi ci ha stupito in continuazione: basta avere una mappa in mano e l’aria vagamente interrogativa perché qualcuno si avvicini e ti chieda “do you need help?”. A noi è capitato con una signora appena arrivati, un ebreo ortodosso sulla metro e un altro paio di persone per strada.
In generale sorridono tutti: gli autisti della metro, i commessi, i camerieri, la gente, perfino gli sbirri. Tutti presi bene.
Abbiamo visto moltissime cose, abbiamo guardato Manhattan dall’alto e l’abbiamo circumnavigata ai lati, abbiamo mangiato hamburger e super colazioni abbondanti e squisite, visitato parchi e musei, eppure la sensazione è di non aver visto che una minima frazione della Big Apple. Perché c’è ancora tantissimo da vedere, ma soprattutto da fare e da vivere.
Ci torneremo, assolutamente, al più presto e per molto più tempo.
Farewell.
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